martedì 14 settembre 2010

Anni 70 - Dalla 3a serie "Affetti": “Due o Tre Angoli di Casa” 1978-79 (in costruzione - under construction)

"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79

"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79
"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79
"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79
"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79
"Due o tre angoli di casa", installazione oggettuale (part.), 1978-79
"Due o tre angoli di casa" (1), 1978-79, fotografia colore su alluminio
"Due o tre angoli di casa" (2), 1978-79, fotografia colore su alluminio

"Due o tre angoli di casa" (3), 1978-79, fotografia colore su alluminio


Testo critico di presentazione
di Rino Mele

Dalla mostra “Due o tre angoli di casa” 

Galleria "Taide Spazio Per"-  Salerno 1981

 Angelo Riviello utilizza la fotografia per un lavoro umile, esibito nel suo valore elementare di riproduzione di una scena. Un angolo di una galleria diventa lo spazio privilegiato per pochi oggetti che rimandano alla casa, all’attività che vi si svolge.
Oggetti che somigliano molto a reperti sopravvissuti ad una catastrofe: un libro, un fiore, un flauto, un giocattolo in legno, un arco rudimentale da utilizzare in un piccolo giardino, qualche altro oggetto da indovinare all’interno di un’attività ludica dimenticata. La galleria è vuota (in questo caso la Taide di Salerno, nota per la sua rivista “Materiali minimi”), bianca e asettica come un laboratorio prima di un esperimento. Solo gli angoli sono occupati fino ad un’altezza di cinquanta centimetri; angoli utilizzati a coppie, simmetricamente. Da una parte la piccola scena del quotidiano, della casa dimenticata o troppo ricordata (la mostra ha per titolo “Due o tre angoli di casa”), dall’altra una fotografia di quella muta rappresentazione riproducono il gioco della memoria, la ricerca di una tridimensionalità perduta, di un vissuto ormai impenetrabile se non attraverso un’immagine, una ricostruzione schiacciata su un foglio, come per un processo di condensazione. “Le noème de la Photographie est simple banal; aucune profondeur: ça  a eté ".  Ma non alla indimenticabile riflessione dell’ultimo Barthes, quanto a Dubuffet fa pensare l’operazione di Riviello : quanto ai suoi "teatri della memoria ".  Un paragone non certo tra Riviello e Dubuffet, ma tra l’area di ricerca dei due. Gli oggetti si allineano nella fotografia dell’uno con l’attenzione-intenzione di ripercorrere i meccanismi della memoria come sulla tela dell’altro: la memoria non si lascia prendere all’amo della ricostruzione di sé, se non prosciugata da ogni scoria tridimensionale, da ogni possibilità di ripercorribilità. Ecco che allora diventa comprensibile la doppia collocazione, la simmetria della disposizione degli oggetti e della loro rappresentazione fotografica: è un ricondurre la memoria sui propri passi, un tentativo elementare di ripeterne i procedimenti, i meccanismi.
Ma potremo anche tentare l’interpretazione contraria: dal sogno bidimensionale della fotografia è estratta la composizione nello spazio degli stessi oggetti rappresentati. La memoria, secondo Riviello, avrebbe, allora, un suo labirinto elementare dal quale non sa, né può, uscire. Gli oggetti mostrano la loro morte e la nascondono.
Due rappresentazioni che rimandano l’una all’altra in un circuito che non procede, ma rimanda solo ad altri circuiti speculari simili, in altri angoli della galleria (come in altri angoli della memoria).
“Or, un soir de novembre, peu de temps aprés la mort de ma mère, je rangeai des photos ».

(Rino Mele, Salerno, 1981)

Dalla rivista

Campo - aprile/giugno 1981
6 anno II 1981

"Appunti per una semiologia dell' 'interno'
(soprattutto nella ricerca italiana)
di Enrico Crspolti

"...Riviello costruisce le proprie immagini d'evocazione lirica su una trama, di disposizione quasi narrativa, di rilevamenti semiologici di 'interni' a lui strettamente domestici, attento a tutti quei dati iconici e segnici che restituiscono peculiari spessori antropologici, rispetto ai quali Riviello riconosce una propria intima pertinenza.


Dal libro 
"CRONACHE" 
Attraverso l'arte contemporanea nel Mezzzogiorno
di Massimo Bignardi

Edizioni ASIR, Pontecagnano (SA) - La Buona Stampa S.P.A. Ercolano (NA), 1987

12/II Gli "angoli" di Angelo Riviello

Due o tre "angoli" di casa e forse qualcosa in più. Forse due o tre angoli della memoria, del proprio vissuto, oggi segno che rivive in angol/azioni familiari, riproposti nei bianchi spazi della Galleria. L'autore è Angelo Riviello che ce li propone alla Galleria Taide di Salerno.
Al di là, c'è il fatto formale: il piacere creativo del trompe-l'oeil (le foto degli angoli della sua casa si ripropongono come "reali", giocando alternativamernte con quelle reali): le composizioni, sottili, delicate, in cui i significanti , spesso non evocano i significati.
Per alcuni aspetti molto simili agli assemblage cari al dada berlinese, ove il recupero dell'oggetto, assume il valore di riutilizzo, da parte dell'artista, della scena quotidiana. 
E' anche un momento narrativo (di natura gnoseologica) che da anni è presente nella produzione artistica. Accenni si ritrovano in precedenti opere di Riviello, caratterizzate sostanzialmente da spunti autobiografici. Questa mostra offre anche lo spunto per riparlare della casa, in un periodo in cui tutto sembra sbiadito dagli eventi dello scorso novembre. L'intimità è resa pubblica: i grossi squarci nelle pareti offrono gli interni ancora fermi alla tragedia, con i segni della morte, ancora intatti nel loro aspetto di museo.
Museo della vita, di quella della famiglia, che fu, che è e che sarà. Si leggono le stratificazioni lasciate dalle generazioni: tutto motiva un ricordo, un momento, una persona. La grossa specchiera, ora sospesa nel vuoto delle macerie, troneggia in memoria della casa del farmacista o del professore.
Sono le case del Sud, di quel Sud che oggi è di cronaca e che malauguratamente si ripropone come tale. 
Le opere di Riviello le ripresentano condensate in reliquiari moderni, come proprio passato, su cui fondare la speranza del futuro. 
Riviello non accenna a commenti didascalici: la storia della sua casa (come luogo della memoria) si apre per intera, in percorsi che assumono a volte accenni Kistch, popolari, infantili, emotivi, carichi di quella tensione propria della tradizione. Il risultato: un percorso lungo decine di anni, forse la sua vita, ove riscopriamo una parte di noi. "Mazza e piv'se", " 'a freccia" rinnovano nel fruitore un passato non tanto remoto, oggi coperto dalla fantasia dell'era spaziale. 
La casa è il punto della memoria, antica, silenziosa, stratificata; è il luogo ove ricercare il punto di partenza. La casa è anche il confine dei ricordi, degli affetti, oggi rituali antichi, per altri "miti del passato". 
(Massimo Bignardi, Salerno, 1981)



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