martedì 19 ottobre 2010

3) Anni 70 - "Ritratti-Autoritratti / Portraits-Selfportraits" - dalla 2a serie "Affetti" 1976-77

"Ritratti-Autoritratti / Portraits-Selfportraits" - 1976-77 - Stampa fotografica da pellicola colore 6x6

Il bavero da asilo nido con cappuccio di lana
Elementi sacri decorativi della prima comunione
I miei primi quaderni di scuola, con inchiostro, penna, calamaio e vocabolario della lingua  italiana
I primi libri da leggere
Il cappello di mio zio Nicola...e la pistola

Satellite: la mia prima macchina fotografica 4x4, con flash e pellicola, un regalo dello zio d'America Nicola Gibboni.La fotografia, come passione di un nuovo mondo espressivo 

Visione d'insieme

4) Anni 70 - dalla 2a serie "Affetti" 1976-77 (in costruzione - under construction)

"La stanza di grano", 1976-77, foto colore-180x180 cm

"La stanza di grano", 1976-77, foto colore-180x180 cm.

"L'armadio e l'autoritratto" - 2 foto color -180x170 cm.
"L'armadio e l'autoritratto" - 2 foto color -180x170 cm.
"L'armadio e l'autoritratto" - 2 foto color -100x100 cm.
"L'armadio e l'autoritratto" - 2 foto color -100x100 cm.
"L'armadio e l'autoritratto", 1977 - visione d'insieme (part.) -180x350 cm.

lunedì 18 ottobre 2010

2) Anni 70 - La Casa - dalla 2a serie "Affetti" 1976-77 (in costruzione - under costruction)

Work in Progress
1977-1997-2005


Traslazione-Sostituzione

dalla 2a serie "Affetti" 1976-77


da Luogo a Luogo


La Casa di Largo Giulio Cesare Capaccio

"Il Salotto e Il Divano Art Deco" - "L'Orinale" - "La Sputacchiera" - "Il Cappello" - "La camera da letto", ecc.


L'ambiente, gli elementi di arredo, gli oggetti, le immagini e (impresa ardua) rievocare, mediante la fotografia a colori con la Yashica G mat 6x6, anche l'atmosfera della mia infanzia che ancora si respirava in questi luoghi, rimasti per alcuni versi ancora integri. Luoghi in cui ho provato la gioia, la paura, le prime curiosità e i primi impulsi sessuali. La decisione di realizzare a dimensione reale l'ambiente, è per cercare di strapparlo al ricordo e riportarlo alla realtà, ad una realtà che già in quegli anni svaniva e che oggi, fisicamente, come conseguenza del terremoto del 1980, non c'è più.


Dopo un'immagine in panoramica, a diversi quadri del salotto, che vede il divano art deco del nonno, protagonista e contenitore di svariati oggetti appartenenti a lui e a tutto il resto della famiglia, combinati tra loro da una mia regia; in particolare nelle altre immagini, ho posto l'attenzione nei primi piani, su tre elementi: l'orinale; la sputacchiera; il cappello; la camera da letto, ecc. inseriti nel loro contesto. Ognuno di questi oggetti, mi riportavano a dei momenti particolari, in cui curioso iniziavo a conoscerli e a scoprirli nell'uso, nel guardare mia madre, mio padre, il nonno, i miei fratelli maggiori, parenti ed ospiti che non mancavano mai.


L'intenzione oggi, nella rilettura attuale, come per il progetto "La Libertà", è di esporre le immagini in altri siti, in una sorta di "traslazione-sostituzione", da luogo a luogo, appunto, con alcune varianti al progetto, di tipo ambientale, esterno ed interno.


"Il salotto e il divano art deco" - N. quattro fotografie a colori-
Quadro n.1 - 180x180 cm.
"Il salotto e il divano art deco" - N. quattro fotografie a colori-
Quadro n.2 - 180x180 cm.
"Il salotto e il divano art deco" - N. quattro fotografie a colori-
Quadro n.3 - 100x100 cm.
"Il salotto e il divano art deco" - N. quattro fotografie a colori-
Quadro n.4 - 100x100 cm.


"L'orinale". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.1 - 180x180 cm


 "L'orinale". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.2 - 180x180 cm


"L'orinale". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.3 - 100x100 cm
"La sputacchiera". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.1 - 180x180 cm
"La sputacchiera". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.2 - 180x180 cm
"La sputacchiera". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.3- 180x180 cm               


"Il cappello". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.1 - 180x180 cm



"Il cappello". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.2 - 180x180 cm


"Il cappello". 1976/77 - N. tre fotografie a colori-
Quadro n.3 - 100x100 cm


"La camera da letto...mia cugina" , 1976-77-
 fotografia colore (1) - 180x180 cm.


"La camera da letto...mia cugina" , 1976-77-
 fotografia colore (2) - 180x180 cm.

"Jorge Luis Borges & Angelo Rivello Moscato", 1977 - 
fotografia colore (1) - 100x100 cm.

"Jorge Luis Borges & Angelo Rivello Moscato", 1977 - 
fotografia colore (2) - 100x100 cm.

"Jorge Luis Borges & Angelo Rivello Moscato", 1977 - 
fotografia colore (3) - 100x100 cm.

domenica 3 ottobre 2010

Angelo Riviello Moscato & Arte Foto Emilio D'Amato - dalla 1a serie "Affetti", 1975/76 (in cantiere - under costruction)

"La Tomba di famiglia", 1975/76.  N. 3 riproduzione fotografiche B/N, 70x150 cm.

"I Funerali di mio nonno Giacomo, anarchico, musicante, calzolaio, bettoliere ed ex mugnaio", 1975-76 


"I Funerali di mio nonno Giacomo", 1975-76, part. quadri 7 e 8

"I Funerali di mio zio", 1975-76 - part quadri 4 e 5

 " I Funerali di mio zio Nicola Riviello, maresciallo scelto dell'esercito regio",1975-76

Attraverso le fotografie di famiglia, dal 1975/76, tento di ricostruire un percorso formativo ed educativo ricevuto nel contesto storico, sociale e ambientale della mia infanzia (con lo scopo di rimettere tutto in discussione, nel rimuovere certi luoghi comuni). Partendo prima dall'interno delle mura domestiche, attraverso le immagini fotografiche, gli oggetti, l'ambiente, e affacciandomi poi gradualmente all'esterno, nell'habitat quotidiano con i suoi usi e costumi, con i suoi innumerevoli segni di una storia e di una cultura passata, e nella continuità "diramata", ma coerente, di una linea di pensiero, con i suoi possibili e (pare) inevitabili sviluppi, vado anche a recuperare la figura di un bravo fotografo (Emilio D'Amato). Il classico fotografo, che come i Fratelli Alinari, nel suo piccolo, ha documentato più di mezzo secolo di vita locale della Città/Territorio di Campagna e dintorni. Un fotografo che ha documentato, fra l'altro, centinaia di funerali, fra i quali i due seguenti che interessarono la mia sfera affettiva e intima familiare: i funerali di mio nonno nel 1957 (quando avevo 10 anni) e di un mio zio, fratello di mio padre, nel 1941 (sei anni prima che nascessi), a parte altre opere presentate in questa pagina.

a) " I Funerali di mio zio Nicola Riviello, maresciallo scelto dell'esercito regio":

Dati tecnici: sequenza di n.8 immagini di riproduzione fotografica B/N viraggio seppia. 
Supporti, dimensioni e quantità variabili.


b) "I Funerali di mio nonno Giacomo, anarchico, musicante, calzolaio, bettoliere ed ex mugnaio ":

Dati tecnici: sequenza di n.9 immagini di riproduzione fotografica B/N. 
Supporti, dimensioni e quantità variabili.

 Lavori mai esposti

Campagna, 21 - febbraio - 2005


domenica 26 settembre 2010

Luciano Inga Pin - Lettera a Luciano: Scusate il ritardo!

Luciano Inga-Pin
Pagina dedicata a Luciano Inga-Pin, per quel rapporto, breve ma intenso che ho avuto con lui, a cavallo tra il 1975-76 e il 1977-78, quando senza saperlo (né io e né lui), forse, abbiamo contribuito ad anticipare un humus iniziato negli anni 90

L'ingresso della sua Galleria "Il Diagramma", in Via Pontaccio, 12/A - Milano-angolo
Corso Garibaldi / Quartiere di Brera
Luciano, con Lea Vergine e Emi Fontana, ai tempi della Body Art (anni 70), in cui
per la prima volta presentò in Italia Marina Abramovic, Gina Pane e Urs Lüthi  (Foto Mario Gorni)


In una delle ultime foto, prima che ci salutasse
Luciano con Giovanni Tufano, in una delle tante mostre curate da lui
Luciano Inga-Pin, nella sua Casa-Galleria


Caro Luciano, 
scusa il ritardo, ma anche se a distanza di oltre un anno dalla tua “scomparsa”, mi piace scriverti adesso che ho un blog, senza l’emozione del momento …perché per me sei sempre in via Pontaccio 12 A, alle prese con le tue mostre, con i tuoi amici e con i giovani artisti…dove ho lasciato una parte di me stesso …e poi tu sai benissimo che per me il tempo è stato, ed è, relativo, molto relativo…quasi inesistente, anche se implacabile, distratto come sono, dagli impegni quotidiani e dai miei pensieri (a volte) che mi spingevano istintivamente in sentieri avventurosi abbozzati (forse in anticipo, senza rendermene conto) andando a scavare in un mio percorso formativo, partendo da una mia realtà antropologica e culturale iniziando dalle quattro mura di casa, per approdare in una realtà molto più ampia….ma senza mai fare calcoli di tempo…perché incapace nel momento magico e  ansiogeno (per me) della creatività, di “calcolare” tempi e strategie. Questo, forse anche per fattori caratteriali dovuti ad una mia riservatezza, e al "dubbio" che non mi lascia mai, che mi spingono postume a prendere coscienza?…Pare di si, ed è molto probabile…

Quanti andirivieni nella tua casa-galleria di via Pontaccio, dove volentieri mi affacciavo dal balcone chiacchierando con altri amici e compagni di strada durante le mostre che tu organizzavi. Quanti ricordi…quanti affetti…quante speranze….quanti nuovi amici conosciuti, grazie a te, alla tua capacità di comunicare e di richiamare tutta una nuova generazione di artisti. Mi ricordo quando suonavo il campanello alla tua porta vetrata. Ti affacciavi sempre con molta disponibilità, interesse e simpatia, con quegli occhi ingigantiti dagli occhiali, da sembrare due binocoli e il sorriso immancabile. Sempre gentile. Sempre sincero. Mi ricordo anche il tuo cane pastore che ti faceva da guardia per un certo periodo. Mi ricordo, in particolare, quando conobbi Giorgio Verzotti e gli parlasti in modo molto simpatico e affettuoso di me e del mio lavoro che svolgevo in bicicletta spostandomi da una zona all’altra di Milano, come agente della Casa Edtrice Einaudi, elogiandomi, come giovane artista, nel fare questa attività per vivere…

Io come altri, sono stato nella tua “sala d’attesa”. Mi dispiace solo di quel dialogo “interrotto” tra te e me, a proposito del mio lavoro, in  quegli anni a cavallo, tra il 1975-76 e il 1978… Infatti, quando ebbi modo di conoscere, tra gli altri, anche Mimmo Paladino nella tua galleria di via Pontaccio (1978), l’aria che si respirava nel mondo dell’arte, iniziava a cambiare, purtroppo non solo per gli artisti come me, ma (penso) anche per un “gallerista” come te, di punta, a cui interessava il presente in ogni attimo... Capii,  che il momento non era più favorevole per il mio modo di lavorare, tanto da scoraggiarmi nel completare la mia presentazione attraverso le opere, sia di fotografia che di alcuni film super 8 realizzati tra il 1975, 76 e il 1977-78, che dovevo ancora sistemare per la presentazione. Una mostra che di lì a poco, avrei fatto alla Galleria Taide di Salerno (di Pietro Lista e Cristina Di Geronimo), con una proiezione informale di alcuni film, tra amici, la sera dopo il vernissage, tra cui il fotografo Pino Musi, il giornalista Giovanni Ugo Di Pace, l'antropologo Paolo Apolito, il fotografo Pino Musi, Luciano Cilio, artista-musicista di quella Napoli del nuovo sound di ricerca, Carmine Limatola (detto Ableo), Gelsomino D'Ambrosio, Art Director di Segno Associati, lo stesso Pietro Lista e Cristina Di Geronimo, e altri (non ricordo se ci fossero anche Rino Mele e Angelo Trimarco), che manifestarono tutto il loro interesse. Film che poi tu hai visto in VHS, tra il 1997 e il 1999-2000. Quando alcuni giorni dopo ti telefonai mi rispondesti che ne eri entusiasta…Poi non so cosa sia successo…non ci siamo più sentiti. Io l’eterno precario (per campare) in una scuola  pubblica italiana sempre più problematica  e degradata, con tutti gli aspetti consequenziali  che si riversavano (e si riversano) nella vita quotidiana e tu…a continuare la tua attività, tra i mille impegni, con passione,  fino all’ultimo. 

Infatti in quell’anno 78, mentre Mimmo mi diceva, tra l’altro,  che stava cercando casa a Milano, il sottoscritto invece la lasciava (ad un amico pittore: Franco Tripodi) la sua piccola casetta (di 40 m2 al quarto piano di via Torricelli al n.5), che non lavorava più con la Casa editrice Einaudi, e intuendo quel “ritorno all’ordine” attraverso la manualità pittorica e il decorativismo, gli rispose che stava per lasciare quella città. Lasciare Milano, sentendosi “inutile”, data anche la difficoltà nel sopravvivere e nel rifiutare sull’altro versante, il facile mercato del sottobosco della città meneghina. Per la stima che tu sicuramente provavi nei miei confronti, fui invitato da te (dopo che avevi preventivato una mia presenza in galleria con un paio di mie opere) ad adeguarmi alla nuova realtà, che come ti dissi,  non mi sentii di “accettare”,  ringraziandoti di cuore,  convinto fino all’ultimo del mio lavoro (anche se tra mille dubbi) che stavo svolgendo e che avevo svolto fino ad allora e che stavo portando avanti, guardando oltre il presente (incosapevolmente proiettato verso gli anni 90?), che tu ancora non conoscevi bene fino in fondo, dal momento in cui “oggettivamente”(come fummo travolti entrambi dal ritorno all'ordine con lo “tzunami” della transavanguardia e di altri "movimenti" similari) fosti costretto (forse), anche senza “tradirmi” ad “abbandonarmi” e non mi fu più dato tempo di proseguire nel fartelo conoscere. Il "Nuovo Futurismo" che teorizzasti nel 1983, insieme a Renato Barilli, era ancora lontano…Così tolsi l'incomodo...non perché non sapessi dipingere "rifiutando la pittura" (anzi avrei potuto riprendere con un mio segno neo-espressionistico che avevo da adolescente allievo nell'Istituto d'Arte di Salerno), ma perché il mio lavoro guardava innanzitutto oltre me stesso, la narrative art, la body art, la performance, era molto "diverso" dalle altre esperienze che tu avevi proposto in quegli anni a Milano, tra cui due grandi della body art, Gina Pane e Marina Abramovic, Guglielmo Achille Cavellini e tanti altri. Una similitudine azzardata, era possibile con altri giovani su un lavoro (forse) prettamente fotografico (inteso come linea di partenza), ma non nell'uso dei vari mezzi tecnico-espressivi, tra cui il desiderio per un uso autonomo del mezzo filmico...

Arrivarono gli anni 80, che per me rappresentano un “buco nero”…Ormai da Milano ero rientrato a Salerno, dall’estate del 1978, dove nella mia città (Campagna), ho vissuto il tragico terremoto del novembre 80, e dove nel 1982, dopo le mie prime personali alla Galleria Taide di Salerno, nel 1978 e 1981 (che volevo e dovevo fare con te, con la proiezione di alcuni dei miei film super 8, perché è con te  e con altri cari amici artisti di Milano, che maturai una mia visione, in quella città dove ho vissuto intensamente gli anni giovanili e di una ricerca spinta agli estremi, non perché Salerno non mi andasse bene, anzi, è il mio capoluogo di provincia, la città della scuola di critica d'arte, dove ho studiato, sognando l'arte, ma al tempo stesso era una città lontana da un circuito nazionale e internazionale), per non sentirmi di nuovo “inutile”, recuperai un antico evento del fiume, in disuso ormai, che serviva, oltre che a pulire le strade della città, nella sua deviazione fluviale, ad un’economia locale che non c’era più, composta da mulini, pastifici, cartiere e creterie (trasformandolo in opera d’arte, come dicono gli amici)…e coinvolgendo “irresponsabilmente” nell'idea progettuale molti altri artisti di ogni parte d’Italia, ad esprimersi con un proprio linguaggio espressivo…attraverso la perfomance, laboratori di pittura e scultura, musica, teatro,danza, video. E così, mentre Lucio Amelio a Napoli, in contemporanea, “responsabilmente”, realizzava “Terrae Motus”, con alcuni dei mostri sacri internazionali dell'arte, dopo avermi invitato nel 1979 a partecipare, come giovane, alla "Rassegna sulla nuova Creatività nel Mezzogiorno", noi progettavamo una sorta di "Aquae Motus", con il progetto "'A Chiena", che dopo il recupero, fu restituita alla Comunità, trasformata in "Opera d'Arte e Spettacolo".

 Posso dire che nella mia vita,  fino ad oggi, ho trovato solo te come interlocutore serio e rigoroso, con cui confrontarmi  e  maturare una mia visione…anche se è mancato quel momento magico di verifica, al seguito dei numerosi incontri che facevamo, per i motivi sopraindicati, dove per un attimo ti sei “distratto”, con tutta la mia comprensione, ma al tempo stesso con tanta amarezza e rammarico da parte mia…in una Milano “grigia”, dove complessivamente ho vissuto per quasi 15 anni, nel mio nomadismo da pendolare, nei continui andirivieni, tra il nord e il sud (Milano-Salerno), nei treni affollati di 2 classe (ultimo step dal 1996 al 2003). Ancora oggi, non riesco a pensare che tu non ci sia più. Per me sei sempre in quell'appartamento di via Pontaccio, in una Brera “da movida”, vuota e  irriconoscibile, con quel tuo sorriso sempre immancabile e con quegli occhi ingigantiti dagli occhiali, da sembrare due binocoli…e la tua disponibilità al dialogo sempre aperta! Milano (la città a tolleranza zero) non ha perso solo un gallerista, ma un pilastro dell'arte contemporanea in Italia...e uno dei più importanti in campo europeo.

Caro Luciano, sapessi quanto mi è  mancata la mia prima mostra personale con te, mediante una  tipologia di lavoro basilare (1975-76-77- film super 8 e fotografia di una realtà altra, nuda e cruda), in anticipo di almeno 14 anni da quell'humus iniziato negli anni 90 (anni di fuoco), aprendo le danze dalla tua postazione milanese, con una delle prime esposizioni che facesti, ospitando tra gli altri, Betty Bee e la prima di Vanessa Beecroft, segnalata da Giacinto Di Pietrantonio...dove invitare tutti i miei amici di Milano (e i tuoi amici), con i quali sono cresciuto e mi hanno aiutato a crescere. 
Spero di poterla fare in un'altra dimensione con te, nel bruniano universo "infinito et mundi", per rifarci del tempo perduto...anche se io non credo nella reincarnazione come te...

Un caro abbraccio…
Angelo Riviello


Nel video che segue si può ascoltare un'intervista a Luciano, che (con Ivan Quaroni, Chiara Canali e altri) parla di uno degli artisti da lui presentati (Giuseppe Veneziano), nella sua galleria di Via Pontaccio a Milano, alcuni anni prima che ci salutasse, di cui condivido in toto, ciò che viene detto, ritrovandomi su tale linea di contenuti, da sempre con il mio lavoro (interdisciplinare), dagli inizi degli anni 70 ad oggi:



domenica 19 settembre 2010

Anni 80/90/2000 - Angelo Riviello Moscato & Giulio Cesare Capaccio - work in progress dal 1986

Ceramica a cera sarda, 1986/2000, diam. 38 cm.

Ceramica a cera sarda, 1986/2000, diam. 38 cm

Ceramica a cera sarda, 1986/2000, diam. 38 cm

Ceramica a cera sarda, 1986/2000, diam. 38 cm

"Il pianto del coccodrillo", 2002, acrilico e tecnica mista su tela,
100x150 cm.

"La gioia del coccodrillo", 2001, acrilico e tecnica mista su tela,
100x140 cm.

"L'impresa della pantera", 2001, acrilico e tecnica mista su tela,
97x140 cm.

"Alban e l'elefante...www.memoires-elephants.com", 2001, acrilico e
tecnica mista su tela, 100x145 cm.

"Il principe cortese", 2001, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"Il toro di Agrigento", 2001, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"L'impresa di Giuliano", 2000, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"Parto immaturo", 2002, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"Vipere nel coito", 2000, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"La nottola di Minerva", 2000, acrilico e tecnica mista su tela,
 70x100 cm.
"Il piccione e la colomba - Dove manca la natura, opera 
l'arte", 2001,acrilico e tecnica mista su tela, 70x100 cm.

"Nunc Noscito Vires", 2001, acrilico e tecnica mista su tela,
70x100 cm.

"Nuvole", 2002, acrilico e tecnica mista su tela, 70x100 cm.
"La prima impresa: l''eclisse",1986, acrilico, gouache e tecnica mista
su carta murillo intelata, 70x100 cm.

"L'occhio dell'immagine che dietro rappresenta", 1986, acrilico, gouache
e tecnica mista su carta murillo, 70x100 cm.



"La mano occhiuta", 1986, acrilico, gouache e tecnica mista
su carta murillo intelata,70x100 cm.

http://www.undo.net/Pressrelease/ 
http://www.undo.net/it/mostra/9468
(work in progress dal 1986 serie Delle Imprese)

L'artista campano, Angelo Riviello, che da anni vive e lavora tra Milano e la Città di Campagna in provincia di Salerno, e che da anni svolge un lavoro interdisciplinare (fotografia, film-video, installazioni, scultura, pittura), nel recupero di una propria radice: autobiografica, storica, culturale e antropologica, ci presenta questa serie, detta "Delle Imprese", il titolo di un libro del Capaccio, suo conterraneo, letterato e storico, personaggio di potere nel periodo del Barocco Napoletano. Personaggio che conobbe la gloria, ma anche la miseria. Lo storico piu' accreditato di Napoli, che ebbe soprattutto il merito di promuovere ricerche di archeologia. Infatti fu il primo ad interessarsi degli scavi di Pesto (oggi Paestum).

Si tratta di un "work in progress dal 1986", di una delle serie dedicate ai personaggi storici, nati e/o soggiornati nella sua città (Giordano Bruno, Giulio Romano, J.Caramuel y Lobkowitz, etc,), definita dal Vasari come "...una delle meraviglie antiche", parlando di Giulio Romano, nelle sue "Vite". Una serie che vuol essere una sorta di rivisitazione, reinterpretazione e/o sostituzione dei personaggi, scambiando le date, scambiando i periodi, scambiando i nomi. Rendendo un omaggio con affetto, con ironia, con convinzione.

Rivendicando un'identità, legata in questo momento, soprattutto ai rischi della globalizzazione, con una cultura del vuoto sempre piu' dominante. Da un lato si tratta di un omaggio e di una rivisitazione, dall'altro vuol essere un pretesto. Un pretesto per resistere a questa invadenza del vuoto, che si registra in questo nostro sistema sempre piu' globalizzante. Un pretesto per ridiscutere di arte, nelle sue discussioni formali, ma soprattutto nelle idee e nei contenuti, dove il mezzo,per Riviello, e' solo una consequenziale scelta soggettiva.

Nel caso di questi lavori (ad eccezione dei tondi in ceramica a cera sarda), si tratta di pittura: colori acrilici e gouache su carta intelata e acrilico e tecnica mista su tela. Il disegno si compone di due ovali dello stesso emblema. Uno e' riportato in bianco e nero, fedelmente all'originale, e l'altro invertito e reinterpretato con la pittura, e spesso anche con i titoli tradizionalmente intesi, dove pare che l'artista si diverta, accompagnati dalla tecnica di esecuzione, con la data e con la dimensione dell'opera. Moscato e' il cognome di sua madre.



La mostra e' accompagnata, negli stampati, da due lettere all'autore, di Gelsomino D'Ambrosio (teorico e ricercatore grafico di comunicazione visiva - art director di Segno Associati di Salerno e docente all'I.S.I.A. di Urbino) e di Antonio d'Avossa (critico d'arte - docente all'Accademia di Belle Arti di Brera di Milano).

Comunicato stampa dalla mostra al Centro Culturale Puskin Via Bernardino Verro, 15 - 20142 Milano 21 maggio 15 giugno 2002 ore 19,00




Lettere


Caro Angelo,

mi chiedi di scriverti una lettera  che chiamerò “aperta” perché pubblica, in nome della nostra amicizia e dei nostri comuni ricordi.
Mi chiedi, altresì, del reciproco rapporto con un personaggio storico come Giulio Cesare Capaccio, un rapporto che posso immaginare triangolare per i molti rimandi sia geografici che culturali tra noi e lui.
Questo triangolo per le comuni radici e le frequentazioni discontinue può rimandare, come tu suggerisci nella tua precedente lettera, ad alcuni luoghi precisi come Napoli, Paestum, ecc.. Ma istintivamente a questi luoghi io ne sostituirei altri come: Campagna, Roma, Urbino.

Inizio con Campagna. Nel mio ricordo è la città dove uno spazio diventa un’immensa lavagna grigia, noi due vestiti, con i grembiuli neri  (o forse bianchi) e il nastrino che mutava colore di anno in anno, chinati, inginocchiati e a volte distesi a disegnare con “mozziconi” di gesso in una gara priva di vincitori con l’unico desiderio di scoprire i segreti del disegno; un linguaggio che ancora ci accompagna quotidianamente con servizievole sollecitudine.
Infine, sporchi di gesso, con le mani e i grembiuli imbiancati di “purezza” come uno scriba medioevale dopo le preghiere, abbandonavamo quella lavagna o più esattamente quel “largo” ancora oggi dedicato a Giulio Cesare Capaccio.

A Campagna segue Roma. I vertici del triangolo in questa città sembrano allontanarsi, perché  nei nostri ricordi questo luogo ci parla dei primi studi, dell’incoscienza di vivere, e delle prime conquiste culturali. Sole e pioggia, estati caldi e inverni ventosi, cene “rubate” e mattinate sonnolenti in via dei Serpenti, in seguito in via Crispi, in via Margutta e a Trastevere tutto veniva macinato nell’allegro mulino della gioventù.
Per il terzo vertice del triangolo sono, quelli romani, anni oscuri. Giulio Cesare Capaccio cerca l’attenzione dei potenti: celebrando fasti e pubblicando odi ma con malinconici risultati, restando sostanzialmente ai margini della vita intellettuale della Capitale.
Per lui le estati saranno caldissime e gli inverni freddissimi, forse il “sapere” non sarà stato sufficiente ad alleggerire i primi segni della vecchiaia ed ad allontanare il dolce ricordo di Campagna.

Infine Urbino. La città dove da oltre dieci anni insegno in un Istituto – come tu scrivi – specifico a carattere universitario e/o accademico (e/o mi ricordano molto gli anni sessanta), in questa città-nave che si erge sulle colline mille volte incisa e dipinta nel corso “morbido” del tempo.
La città-nave solca queste colline e nei giorni di neve o di nebbia sembra emergere in un mare bianco e umido, in una posizione perfettamente inversa a Campagna, che invece di innalzarsi, sprofonda, mantenendo, però gli stessi umori che si infiltrano tra le pietre e i mattoni, tra l’acciottolato o i “basoli”.
Forse la stessa sensazione l’avrà provata il più importante campagnese che ha attraversato queste strade, giunto fin qui, chiamato da Francesco Maria II della Rovere con l’incarico di soprastante della Biblioteca Ducale, più attento alla politica e al matrimonio tra Federico Ubaldo e Claudia dei Medici che ai libri.
Come puoi facilmente immaginare l’illustre campagnese non è altro che Giulio Cesare Capaccio.

 Salerno, 15 maggio 2002

 Gelsomino D’Ambrosio



Caro Angelo,

ricordo con chiarezza l’occasione del nostro primo incontro. A metà degli anni settanta, in casa di Angelo Trimarco a Salerno, sul pavimento ricoperto di una moquette grigia disponevi una sequenza di fotografie non molto grandi tutte incorniciate singolarmente, ricordo lo sfondo di un cielo azzurrissimo un piccolo aereo di carta, e la tranquillità incuriosita del Professore e del suo assistente, io stesso.

Da allora sono passati molti anni, e tu sei ricomparso in un mio soggiorno in Costa Amalfitana, dove al ruolo di artista affiancavi progetti di esposizioni a Campagna, la tua città, dove ti adoperavi per rendere meno provinciale la vita. Non posso dire di averti seguito in questi anni. Il mio lavoro e la mia vita hanno spesso spinto l’attenzione a differenti climi culturali e pratiche dell’arte. Da qualche anno sei ritornato a Milano dove attraverso comuni amici hai voluto rintracciarmi, chiedendo spesso una mia opinione sul tuo lavoro.

La mia idea nei tuoi confronti è sempre stata molto distesa. Ti ho consigliato di procedere lungo quel singolare percorso che avevi scelto. A partire da Giordano Bruno continuando per Giulio Romano sino a quel Giulio Cesare Capaccio con cui pare ti incontri per questa mostra. Buona l’idea! Ma migliore ancora quella di esporre in un centro culturale fuori dalle logiche di gallerie milanesi più o meno per bene. La singolarità del tuo lavoro si esprime da sempre fuori da queste logiche. Vuol dire che sei un artista isolato. No, credo che tu sia uno dei tanti artisti che non cede al ricatto del supermercato dell’arte, ma organizza la sua ricerca per un piacere di radicate incertezze nell’universo di una cultura visiva che non dimentica che insieme (e non prima) all’arte convivono letteratura, scienza, visioni e utopie.

Di queste certezze è costruito il tuo lavoro, raro e rarefatto, dove ora a elefanti ed emblemi, motti e striscioni, associ colori e geometrie, infine nomi come quello di Capaccio, quasi a consolarti (e a consolarci) di quella perdita, sofferta e voluta, per quel cielo azzurrissimo che in questa città, senza firmamento e senza paesaggio, continua a mancarci tanto.

Un saluto all’ombra delle idee.

Milano, 18 maggio 2002
                                                 
Antonio d’Avossa